ROSBETTOLA
Facciamo un passo indietro: dopo le scuole superiori (il Liceo artistico, a Cuneo) Edith ha affiancato il mastro birrario Andrea Bertola, imparando da lui il mestiere. Con lui ha accompagnato l’avvio del primo birrificio artigianale a Malta e poi s’è trasferita sull’isola in mezzo al Mediterraneo, per seguire la produzione. A vent’anni, nel 2016, ha partecipato al campus ReStartAlp di Fondazione Edoardo Garrone. «Ho portato quest’idea che avevamo già in famiglia, legata all’economia e alla nostra montagna. Venendo da un percorso di formazione artistico non avevo alcune elemento di gestione di un’impresa e per questo il campus è stato fondamentale, anche se ci siamo resi conto che era davvero difficile immaginare un business plan per un territorio desertificato, dove non c’erano nemmeno termini di paragone da utilizzare per costruirlo. Non avevamo immaginato di avviare il progetto in tempi così brevi» spiega Edith. A Malta ha conosciuto Chris, il marito cileno, e con lui è partita per un periodo nel Paese sudamericano. Nel 2020 sono tornati a Rosbella. Nel frattempo, Leo stava terminando il suo percorso di studi presso l’indirizzo alberghiero dell’Istituto di istruzione superiore statale ed è uscito un bando del Gruppo di Azione Locale Valli Gesso Vermenagna Pesio che ha garantito un finanziato per la ristrutturazione del capanno di famiglia, un locale in pietra che è diventato la ROSBettola. I lavori sono partiti a maggio 2020, alla fine del lockdown di primavera. «Mancavano due mesi alla maturità ma ho passato più tempo al cantiere che sui libri: ho pulito a mano tutte le pietre del “casotto”: è stata una soddisfazione senza pari» racconta Leo. «Sono sordo – continua – e per me la didattica a distanza è stata molto faticosa a causa della voce robotica che esce dal computer e dall’impossibilità di seguire il labiale. Questa situazione mi ha fatto passare la voglia di studiare e a decidere che avrei preso parte attiva al progetto della ROSBettola, in cucina». Tutto il menù che propone è studiato per accompagnare la birra. Leo e il padre hanno immaginato insieme il piatto icona dell’osteria, che naturalmente si chiama ROSBurger. Ha due particolarità: è quadrato (la carne è quella della macelleria Martini di Boves, un’eccellenza del territorio) ed è fatto all’interno di una pizza romana, non di un panino. «Lo fa Daniele Giorgis, che ha un’azienda agricola a Cavaliggi, una frazione di Valgrana (CN): coltiva i cereali che macina per usare farine autoprodotte». Giorgis non è un contatto dei genitori, ma di Leo, che durante gli anni dell’alberghiero ha fatto uno stage presso il suo forno. A rendere più ricco il panino un formaggio blu, un erborinato. «Ci sono persone che non guardano nemmeno il menù» spiega Leo. «Molti vengono quassù per poter assaggiare ROSBurger e ROSBirra, che sono una nostra esclusiva» aggiunge Edith.
Mentre fuori inizia a scurire, papà Sandro prepara tazze di ROSBaglione, uno zabaione arricchito con un po’ di ROSBirra. Nonostante il freddo, tanti sono arrivati – anche a piedi, o in bicicletta – da Boves e dagli altri comuni vicini per una passeggiata nel centro storico di Rosbella. «In inverno, con gli impianti di risalita chiusi, abbiamo preso alcune ciaspole da affittare» dice Sandro: la famiglia Gastinelli ha aperto un presidio di socialità. L’osteria di una volta. «Molti ci trattano anche da agenzia immobiliare, ma quassù di case in vendita ce ne sono poche» dice Marzia. «Anche questo – sottolinea – è un problema per i giovani che volessero tornare ad abitare queste montagne. Le persone conservano la proprietà delle seconde case anche se le lasciano vuote per tutto l’anno. I legami familiari sono difficili da recidere».
Legami che esistono anche per Edith, frutto della scelta dei genitori che l’hanno portata a Rosbella a 4 anni: «Sono cresciuta qua, ho imparato dai miei genitori l’amore e la devozione per la montagna. Vogliamo davvero spendere le nostre vite per rivalutarla e dare un messaggio: la montagna si può vivere, non solo raccontare. La ROSBettola è una rivincita che ci prendiamo, perché quando i miei sono venuti qui, a mille metri, e non c’era nemmeno la strada, qualcuno li ha definiti eremiti o hippy. Ciò che abbiamo fatto noi, possono farlo altri. È una speranza per il futuro».