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NOME Mattia Camuffo  AZIENDA Mielificio Sottovalle

INDIRIZZO  Frazione Sottovalle 2, Arquata Scrivia (AL)  

EMAIL msottovalle@gmail.com

PAGINA FACEBOOK  Mielificio Sottovalle

CAMPUS ReStartApp 2015

NOME Mattia Camuffo

AZIENDA Mielificio Sottovalle

INDIRIZZO Frazione Sottovalle 2, Arquata Scrivia (AL)  

EMAIL  msottovalle@gmail.com

PAGINA FACEBOOK Mielificio Sottovalle

CAMPUS ReStartApp 2015

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Il miele distilla la quintessenza di un territorio. É il concetto di terroir così ben espresso nel comparto vitivinicolo, che anche noi apicoltori dovremmo imparare a esaltare per far percepire il valore del nostro lavoro

Mattia Camuffo

Mattia si muove lentamente tra le arnie. Solleva un coperchio, estrae un telaio, controlla le api presenti, cerca, sulla loro schiena, il tratto colorato che identifica la regina. Osservandolo è facile capire che quello è un mestiere delicato, fondato sulla cura. Per far crescere e sopravvivere la famiglia che popola il suo apiario, un apicoltore non può che mettere al centro di ogni sua azione la salute degli insetti che producono il miele.

Mattia Camuffo ha iniziato a prendersi cura delle api a 11 anni, con il papà. Oggi che ne ha una trentina – è nato nel 1989 – api e miele sono diventate il suo lavoro. Dopo aver partecipato al campus ReStartApp 2015 e aver vinto il secondo premio, nel 2016 ha avviato l’Azienda Agricola Mielificio Sottovalle. Sottovalle è il nome della frazione del Comune di Arquata Scrivia (AL) dov’è cresciuto. Oggi, nello stesso luogo, ha costruito un laboratorio per la smielatura, ristrutturando un rustico di fronte alla casa dei genitori. Lo ha inaugurato nel 2017. “Quando ero piccolo mio padre aveva un paio di arnie, lo accompagnavo, mi divertivo, è così che ho imparato a conoscere le api – racconta Mattia -. In seguito papà ha preso la decisione di cederle perché questo impegno costante mal si conciliava con il suo lavoro. É stato nel 2008 che abbiamo acquistato nuovamente una cassetta, a quel punto lo affiancavo. Nel primo anno le cassette sono diventate tre. Successivamente la mia passione per questi insetti, cresciuta in maniera proporzionale al numero di cassette, è diventata una professione.”

Cassetta

La cassetta, o arnia, è il ricovero artificiale dove vive la colonia di api allevate, che generalmente fanno riferimento alla famiglia dell’Apis mellifera, anche conosciuta come ape italiana e riproduce la struttura naturale dell’ alveare.

È all’interno dell’arnia che le api depositano il nettare che utilizzeranno per la produzione di miele. All’interno delle cassette l’apicoltore costruisce telai e stampa fogli di cera: “A immagine e somiglianza di come le api fanno i favi in natura, anche la distanza tra l’uno e l’altro è più o meno quella che calcolerebbero loro – racconta l’apicoltore trentino Andrea Paternoster, tra i protagonisti del libro: Il mondo delle api e del miele, scritto da Cinzia Scaffidi ed edito da Slow Food Editore – Sappiamo che negli alveari selvatici le scorte di miele sono sistemate in alto e il nido in basso, così abbiamo diviso l’arnia nello stesso modo; sappiamo, inoltre, che ogni ape riconosce la sua casa dalla forma e dal colore, quindi coloriamo gli alveari di colori diversi, per non farle confondere”.

Secondo i dati della FAO  Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, in Italia mediamente all’interno di ogni cassetta vengono prodotti circa 200 chilogrammi di miele. Quelli estratti dall’apicoltore per la commercializzazione sono meno di 20: in un sistema di allevamento sostenibile, infatti, il miele è utilizzato dalle api stesse, per la propria alimentazione.

Oggi le cassette del Mielificio Sottovalle sono un centinaio, sparse tra la Val di Lemme e la Valle Scrivia, sull’Appennino piemontese. Mattia dopo l’Istituto Tecnico Agrario si è iscritto all’Università di Torino laureandosi in Architettura del paesaggio, con un particolare focus in ambito botanico. Questo significa una profonda conoscenza del mondo delle piante, anche in relazione al loro ciclo vitale: fiori, semi, pollini e tuberi, che è poi la base della sua professione.

“Il miele distilla la quintessenza del territorio. Le api non raccolgono in modo selettivo solo una tipologia di nettare a meno che non vi sia una concentrazione di piante di una sola specie (le più comuni sono l’acacia e il castagno, ndr), questo significa che il miele ti dà il gusto delle fioriture di una determinata area in momento preciso” racconta Mattia.
È il concetto di terroir, che il comparto vitivinicolo ha saputo valorizzare molto bene e che – secondo Camuffo – gli apicoltori dovrebbero imparare a promuovere maggiormente”. Mentre parla controlla le api nelle sue cassette, indossa il cappello dell’apicoltore, quello con la rete per evitare punture sul viso, e tiene in mano l’affumicatore, che usa per calmarle ed estrarre in sicurezza i telai: “Il miele permette di assaggiare il territorio – riprende – Questo i consumatori possono sperimentarlo facilmente, basta procurare loro un millefiori primaverile e uno estivo, o addirittura due millefiori primaverili prodotti da arnie che distano anche pochi chilometri e una paletta, la differenza in bocca è immediata”.

Dall’autunno del 2019 il Mielificio Sottovalle ha avviato il processo per ottenere la certificazione biologica. “Tra poco meno di un anno – spiega Mattia – potrò applicare il bollino bio sui miei vasetti”. L’azienda vende direttamente tra i 2 e i 3 quintali di miele. La parte più importante della produzione, circa 15 quintali, viene invece conferita a CONAPI, il Consorzio Nazionale Apicoltori, che è l’impresa cooperativa del settore più grande d’Italia. “Ho scelto di affrancarmi dall’impegno di vendere miele al dettaglio che richiede parecchio tempo e garantisce un valore aggiunto ridotto” spiega Camuffo.

Certificazione biologica

È il Regolamento UE 2018/848 a definire le caratteristiche dell’apicoltura biologica.
Tra i fattori più importanti, ve ne sono molti che tutelano il diritto dell’insetto e altri che riguardano l’ambiente in cui vive. Il Regolamento impone che al termine della stagione produttiva nelle singole arnie: “siano lasciate scorte di miele e di polline sufficienti affinché le api possano superare il periodo invernale”, quando gli insetti non escono dalle cassette, ma hanno comunque bisogno di alimentarsi. L’apicoltore biologico ha però la possibilità di nutrire “artificialmente” le colonie di api: “soltanto quando la sopravvivenza della colonia è minacciata da condizioni climatiche avverse”. L’alimentazione cosiddetta artificiale può essere composta da: miele, zucchero o sciroppi di zucchero, naturalmente biologici. Gli apiari: “devono essere ubicati in aree con sufficiente disponibilità di fonti di nettare e polline costituite essenzialmente da: coltivazioni biologiche, flora spontanea, foreste gestite in modo non biologico o da colture trattate solo con metodi a basso impatto ambientale” e devono trovarsi “a una distanza sufficiente da fonti potenzialmente contaminanti per i prodotti dell’apicoltura o nocive per la salute delle api”. Nel raggio di 3 chilometri dal luogo in cui si trovano le api, le fonti di nettare e polline devono necessariamente “essere costituite da coltivazioni ottenute con il metodo di produzione biologico”. Infine, anche la cera per i nuovi telaini deve essere biologica.

Oggi il consumatore fatica a capire il valore del miele, forse perché pochi hanno avuto l’opportunità di accompagnare un apicoltore durante la stagione fredda, misurarne i gesti e le azioni rituali che ripete di fronte a ogni cassetta, e vedere con i propri occhi la cura necessaria affinché le famiglie passino l’inverno. Per chi non fa questo mestiere, non è facile comprendere le difficoltà che può vivere un apicoltore nell’affrontare eventi metereologici avversi, inquinamento e rischi legati alla convivenza con colture ad alta intensità di trattamenti con fitofarmaci.
Alta intensità di trattamenti

La salute delle api è fondamentale nell’azione della FAO, questo perché delle 100 specie di colture che forniscono il 90 % di prodotti alimentari in tutto il mondo, 71 vengono impollinate dalle api. “Negli ultimi 10-15 anni gli apicoltori hanno riferito un insolito impoverimento del numero di api e la perdita di colonie, in particolare nei Paesi dell’Europa occidentale, fra cui Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Regno Unito, Paesi Bassi, Italia e Spagna. Nell’America del Nord, la perdita di colonie, osservata dal 2005 a oggi, ha lasciato la regione con il minor numero di api allevate mai registrato negli ultimi 50 anni” spiega una nota dell’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA). Gli scienziati americani hanno coniato un’espressione per descrivere questo fenomeno: “sindrome dello spopolamento degli alveari”. Non è stata individuata un’unica causa per la diminuzione del numero di api: “Tuttavia – spiega l’EFSA – sono stati indicati diversi fattori concomitanti che agiscono in combinazione fra loro o separatamente. Fra questi vi sono gli effetti dell’agricoltura intensiva e dell’uso di pesticidi, la scarsa o del tutto insufficiente alimentazione delle api, virus, attacchi di agenti patogeni e specie invasive e i cambiamenti climatico-ambientali”.

Secondo Camuffo, il prezzo al pubblico dei miele millefiori dovrebbe essere intorno ai 10-12 euro al chilogrammo, per salire ai 15 euro al chilo per tutti i monoflora come l’acacia. “La realtà che viviamo noi, però è un’altra – spiega – anche in stagioni critiche come il 2019 dove abbiamo avuto un maggio freddo e piovoso, che ha ridotto la produzione di acacia, c’è uno stallo totale del mercato convenzionale tanto che, alla fine ottobre non era stato ancora stabilito un prezzo per la vendita del miele all’ingrosso”.
Ottobre è il mese in cui il raccolto annuale di miele finisce, non ci sono più fioriture e le api si preparano al riposo invernale. All’interno del suo Mielificio, nel 2019, Mattia ha prodotto circa 18 quintali di miele, raddoppiando il quantitativo rispetto all’annata precedente. Con il miele a sua disposizione, può dedicarsi anche alla sperimentazione di una propria ricetta originale per produzione di idromele, bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione del miele. Era parte del progetto premiato al termine del campus ReStartApp e rappresenta un’alternativa alla commercializzazione del miele. Ne assaggiamo una versione dolce e una secca e come per i vini, i sentori cambiano sensibilmente a seconda che la maturazione avvenga in legno o in acciaio. “Alla base c’è un ‘mosto’, una soluzione di miele e acqua al 25 per cento. All’inizio lo riscaldavo, oggi uso acqua tiepida – spiega Mattia – questo permette di mantenere intatti i lieviti naturalmente presenti nel miele. Sto sperimentando così nuove tecniche di fermentazione spontanea”.

Le api si preparano al riposo invernale
Le api passano la stagione fredda in glomere, ovvero, formano una palla all’interno della cassetta, se riescono esattamente al centro, lì si tengono al caldo: “muovendosi con movimenti impercettibili, rallentano molto il metabolismo, di conseguenza il loro fabbisogno di cibo diminuisce sensibilmente” – spiega Mattia Camuffo. In questo periodo, la regina non cova per non disperdere energie. Quando arriva la primavera e la temperatura esterna raggiunge i 12 gradi, l’apicoltore torna ad aprire le arnie per controllare che le api non muoiano di fame. In questa stagione infatti, la covata riprende, per questo la famiglia che sta crescendo ha un alto dispendio energetico, ma se le condizioni meteo avverse non dovessero permettere alle api di trasportare nell’arnia polline e nettare e ci fosse pertanto carenza di cibo, questo andrebbe e indebolire l’intera colonia impedendole di lavorare in modo adeguato al momento della fioritura dell’acacia, la più importante tra quelle primaverili.

La crescita nella produzione 2019 per il Mielificio Sottovalle è legata sia al maggior numero di cassette sia al fatto che una parte sia stata posizionata a valle, nella valle dello Scrivia per la precisione. “Le postazioni in pianura hanno lo svantaggio di essere più vicine all’agricoltura convenzionale, ma ho notato che la produzione è maggiore e soprattutto si riducono gli intervalli in cui non ci sono fonti di cibo. Le api hanno maggiori scorte e per questo stanno meglio. Sono però più esposte al rischio di avvelenamento e a un maggior numero di malattie anche a causa della presenza più massiccia di apicoltori. In Appennino sono più sane, ma soffrono la fame e capita spesso di doverle nutrire, in particolare in primavera, quando la regina cova e c’è un incremento del fabbisogno energetico per far crescere la famiglia” – racconta il nostro apicoltore.
La vita dell’apiario infatti riprende tra gennaio e febbraio con la fioritura del nocciolo, pianta fondamentale per l’importazione iniziale di polline: “Il polline è un elemento molto proteico, che aiuta le api ad alimentare gli insetti appena nati. Segna l’inizio della primavera anche se formalmente siamo ancora in pieno inverno” – spiega Mattia Camuffo – “Dopo il riposo invernale e il blocco della covata, le nuove api bottinatrici si preparano ad uscire. Per raccogliere il nettare e portare in giro il polline, alimentando così il ciclo della vita.