TULARÙ
Quando Miguel e la compagna Alessandra Maculan hanno scelto di trasferirsi nel reatino da Milano, per dar vita a “Tularù”, l’elemento delle relazioni da ricostruire è stato centrale. Ha guidato, intanto, la scelta di abbandonare il capoluogo lombardo, dov’erano arrivati da un’altra grande città, Madrid, con una figlia piccola, Marta (nata nel 2012). «Lavoravamo troppo, Alessandra (che si occupava dell’organizzazione di eventi e concerti, ndr) spesso anche di notte. Marta passava la sua giornata al nido o con la Tagesmutter. In più, vivevamo una socialità che non ci soddisfaceva».
Nel 2013, intanto, era morto il nonno materno di Miguel e la fattoria di Cittaducale di cui si occupava era rimasta incustodita. In quell’inverno tra il 2013 e il 2014 il ghiaccio aveva spaccato i tubi dell’acqua, e la casa era rimasta per 20 giorni a bagno: i muri erano pieni di muffa, tutti i mobili da buttare, le pareti da riprendere. «Alessandra e io avevamo iniziato a pensare a una sorta di piano B, per gioco avevamo buttato giù anche un’idea d’impresa. Una notte, ero in tournée in Brasile con la mia compagnia teatrale e vidi il bando di Fondazione Garrone, per il primo campus ReStartApp» spiega Miguel. Era la primavera del 2014. Il bando era in scadenza. Miguel e Alessandra mandarono il loro progetto d’impresa. «Ci hanno preso, ed è partito tutto» sottolinea Miguel.
Tutto significa, a distanza di cinque anni, una vera azienda multifunzionale, la cui sostenibilità economica è garantita dall’insieme di tutte le attività che si fanno a “Tularù”: l’allevamento di mucche allo stato brado, la coltivazione del grano, la produzione di pane e di altri prodotti da forno, la raccolta e trasformazione di frutti ed erbe spontanee, la ristorazione, la Festa della mietitura in luglio, l’organizzazione di eventi culturali accompagnati da pranzi, cene e aperitivi, i campi estivi per i più piccoli, l’ospitalità nelle tre camere da letto a disposizione degli ospiti. «Il laboratorio per la trasformazione è stato il primo investimento, fondamentale perché ci permette di “accogliere” con una proposta culinaria chi sceglie di arrivare fin quassù, e di far conoscere i nostri prodotti» spiega Alessandra.
Il laboratorio per la trasformazione
La cucina di “Tularù” è un volano per le produzioni aziendali, perché chi arriva quassù a pranzo poi acquista la carne e la pasta. «Dopo aver assaggiato il nostro menù, a Natale hanno ordinato cesti, o sono andati al laboratorio Chitarra Antica di Paola, in centro a Rieti, ad acquistare la pasta fatta con il grano della filiera» racconta Alessandra.
La piccola ristorazione è strategica in un’azienda come Tularù: «Era fondamentale offrire qualcosa che permettesse di “trattenersi”, dopo aver passeggiato. Abbiamo aperto inizialmente come cucina, ma adesso stiamo ripensando il format – spiega Alessandra – siamo isolati, quassù si deve venire. La trattoria popolare, resterà aperta la domenica a pranzo, mentre nelle altre occasioni offriremo un calendario di appuntamenti, cinema più pizza cotta nel forno a legna o concerto più menù di piatti unici, realizzati trasformando prodotti di altre aziende del territorio».