TULARÙ

Da solo l’allevamento, però, non avrebbe garantito di creare un progetto per il territorio. Il percorso con Fondazione Garrone ha aiutato Miguel e Alessandra a individuare il prodotto che avrebbe potuto diventare un «collante», un elemento d’unione, ed è così che è nata la filiera del grano

La filiera del grano

Il progetto di filiera ha l’obiettivo di valorizzare un percorso di microeconomia locale attraverso la promozione di un prodotto del territorio. Pane e pasta fresca sono elaborati a partire da farine integrali, macinate a pietra, delle varietà di grano: Rieti 1, Biancola, Terminillo, Abbondanza e mix Rieti1-Verna-Frassineto. «Nel 2019 le aziende agricole coinvolte hanno “seminato” 22 ettari, contro i 15 del 2018 e i 5 del primo anno – racconta Miguel – la crescita c’è e già ci sono aziende interessate per l’anno prossimo».
Perché la filiera è importante? «Un processo partecipato come il nostro ti permette di stabilire il prezzo, questo garantisce di mantenere il valore aggiunto all’interno del territorio e di pagare un prezzo equo anche per la materia prima». All’interno della filiera reatina, così, un chilo di farina ai trasformatori costa un euro e mezzo, quando sul mercato si trovano anche farine a 30 o 40 centesimi di euro al chilo. Tra le aziende che hanno sottoscritto l’accordo c’è anche Colle Berardino di Rocca Sinibalda, che con Alice Liguori ha partecipato al campus ReStartApp nel 2017.

Ispirata alla figura di Nazareno Strampelli genetista che dagli anni Dieci e fino agli anni Trenta del secolo scorso, partendo dal «Grano Rieti» lavorò alla creazione di nuove varietà che rapidamente si diffusero in tutto il Paese.
«Tularù» è così il perno di una filiera che – sulla base di un disciplinare condiviso – coinvolge (nel 2019) nove aziende agricole, un laboratorio che in città produce pasta fresca, Chitarra Antica, e un fornaio, il Panificio Sant’Agnese. «Il nostro obiettivo è quello di creare un’economia per il territorio, che ne valorizzi le potenzialità e che trattenga qua il valore aggiunto rappresentato dalle sue unicità – spiega Miguel Acebes -. Ho ritrovato in “Tularù” il motivo per cui avevo deciso di fare teatro: la volontà di vivere in un ambiente in cui si costruisce un tipo di relazione profonda. Mi sentivo appagato quando operavo con compagnie amatoriali e non, oggi però riconosco che la terra come comune denominatore è più forte. La relazione diventa universale».

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