PAYSAGE À MANGER

«Desideriamo ricercare e valorizzare le patate coltivate nei territori tutt’intorno al massicio del Monte Rosa colonizzati dai Walser, come Gressoney e l’Alta Valle del Lys» dice Federico Rial, che è un membro attivo della comunità Walser locale. «La nostra è prima di tutto un operazione di tipo culturale, per veicolarla abbiamo scelto di mettere le mani nella terra».
Paysage à Manger coltiva sei varietà di Walser Kartoffeln tutelate dalla Fondazione Pro Specie Rara, e facendo rete con gli altri territori Walser italiani ha recuperato tre varietà antiche dalla Val Formazza e una a Rima San Giuseppe, in Valsesia. «Qui nella Valle del Lys abbiamo fatto ricerche e intervistato gli anziani del Paese che ci hanno svelato la presenza di almeno 5 specie locali, ma non le abbiamo trovate e crediamo siano ormai estinte purtroppo. Del resto, la comunità è piccola e quando gli anziani ti dicono “non ne abbiamo più” significa che proprio non ce ne sono. Una signora di nome Mercedes ci ha raccontato che loro avevano in casa una patata blu a pasta bianca, che col tempo era diventata poco produttiva mettevano 10 tuberi nella terra per ricavarne 13. Così un giorno il padre, anziano, ha detto: “mangiamole” e quella varietà è finita così» racconta Rial.

Walser

Tra l’XI e il XIII secolo i Walser provenienti dall’Alto Vallese in Svizzera si stabilirono nelle vallate più impervie del Monte Rosa. Erano spinti dalla ricerca di nuovi terreni per il pascolo, ma anche dalla volontà dei signori feudali del Vallese che vedevano in essi la possibilità di far fruttare e di valorizzare le proprietà al di là delle Alpi. In Valle d’Aosta si stabilirono a Gressoney, Issime, Gaby e Niel, nella Valle del Lys e in Alta Val d’Ayas.
Popolazione dalle antiche origini germaniche, i Walser sono fortemente legati alle tradizioni e parlano ancora il töitschu, un antico dialetto, molto simile al tedesco, considerato un elemento distintivo di questa cultura.
Il loro simbolo è la casa Walser, costruita per ospitare in un unico centro abitativo uomini, animali, cucine, granai e orti coltivati con sementi trasmesse attraverso le generazioni. A Gressoney-La-Trinité c’è l’Ecomuseo Walser allestito all’interno di una tipica e pittoresca casa rurale costruita al riparo di un unico masso che funge da tetto.

Sono tanti i fattori dietro la scomparsa delle patate. Primo fra tutti, la fine dell’agricoltura contadina di montagna, se non lo pianti, anche solo per un anno, il tubero degrada, l’abbandono è evidente nei terrazzamenti di fronte a noi che sono invasi della vegetazione: «Erano tutti campi di patate, mentre qui, nella piana dove coltiviamo oggi, c’erano i pascoli» sottolinea Chierico.
Il tubero degrada
«La patata si moltiplica per clonazione, la conservi fino a marzo, la fai germogliare, la ripianti e ciò che si ottiene dalle radici è la stessa identica varietà di patata. Questo rende molto semplice replicare una specie» racconta Federico Rial.
Una delle differenze che caratterizzano le varietà di patate riguarda il ciclo di produzione, alcune ci mettono 80 giorni, altre 120. «Per capire se una patata è pronta per la conservazione bisogna fare una pressione col dito sulla buccia se va via significa che la patata non è ancora “vestita della sua pelle”, non è ancora pronta» spiega, tenendo in mano una Cerisa appena raccolta.
Dopo il raccolto i tuberi sostano in magazzino per un periodo di almeno 40 giorni prima di entrare in commercio. Questo periodo di quarantena, estremamente delicato, serve a stabilizzare le caratteristiche della patata che, conservata al buio a una temperatura non superiore ai 5 gradi centigradi, evita di germogliare e quindi di perdere le sue caratteristiche andando a male e in seguito non muta più e può essere conservata fino al mese di aprile.

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