BIRRIFICIO ALTAVIA

Oltre all’orzo e al luppolo, l’Altavia alleva api, da cui ricava il miele utilizzato per produrre la «Monterama», una delle cinque etichette prodotte tutto l’anno.

Una delle cinque etichette prodotte tutto l'anno

Sulle etichette dell’«Altavia» campeggia il logo «Gustosi per natura», assegnato a prodotti freschi e trasformati di origine locale, provenienti all’origine dai Comuni del Parco del Beigua.

Anche i nomi delle birre rappresentano una narrazione del territorio. «Deiva», una Bock, è la foresta demaniale alle spalle dell’abitato di Sassello; «Monterama», una Belgian Strong Ale con miele, è una delle cime del parco del Beigua («dal Monte Rama vedi la Corsica» commenta Giorgio Masio); «Badani», una Pils, è la frazione di Sassello in cui ha sede l’agribirrificio; «Contamusse», una American IPA, è conta balle in dialetto ligure; «Scau», una Rauch (birra affumicata), è infine il nome con cui in Val Bormida si chiamano gli essiccatoi usati per trasformare le castagne, piccole costruzioni in pietra di un solo locale con il tetto di scandole. L’Altavia ne usa una di Murialdo, in Val Bormida, presìdio Slow Food.

La fauna dell’Appennino torna anche nel logo dell’Altavia: un cinghiale, come i tanti che in estate si aggirano intorno al birrificio, le cui finestre aprono su un bosco.

Badani offre anche un’altra materia prima fondamentale, che è l’acqua: «È quella di un acquedotto di frazione, è estremamente leggera, povera di sali disciolti, appena otto gradi francesi: per alcuni tipi di birra, come quelli a bassa fermentazione che amiamo noi, è perfetta».

Bassa fermentazione

La ricetta base della birra non è articolata: malto, luppolo, lieviti e acqua. A differenza dei vini naturali, che fermentano con lieviti indigeni, le birre artigianali sfruttano lieviti esterni.

Esiste infatti una sola tipologia di birra che fa lievitazione spontanea, ed è la Lambic, belga, prodotto di un’acidità importante.
«L’industria propone 7 o 8 lieviti. Noi siamo andati in alcune “banche del lievito”, scegliendo alcuni lieviti un po’ più particolari – sottolinea Masio -. Poi li abbiamo affidati a un laboratorio, che li conserva a meno 80 gradi: quando ci servono per la produzione, vengono propagati e spediti via corriere».

Esistono due famiglie di lieviti, per produrre birre ad alta fermentazione o a bassa fermentazione («alta e bassa è come dire bianco e rosso nel vino» semplifica Masio). Con alta s’intende una fermentazione che avviene tra i 16 e i 30 gradi centigradi, mentre per la bassa bastano tra gli 8,5°C e i 12°C. Quest’ultima permette di conservare un profilo molto più legato alle materie prime.

L’impianto (che è costato circa 200mila euro, investimento coperto accedendo ad un mutuo con una Bcc del territorio, e finanziato al 40 per cento dal Piano di sviluppo rurale, fondi europei veicolati dalla Regione Liguria) ha una capacità produttiva di 50mila litri di birra all’anno, anche se nel corso del 2019 saranno installati due nuovi fermentatori, portando la potenzialità fino a 70mila litri.

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