LE CORNELLE
«La pastorizia fa parte della storia della famiglia Gabrini da almeno cinque o sei generazioni – Racconta Giuliano – Mio nonno era un pastore transumante, passava l’estate in Alto Appennino Emiliano e l’inverno in pianura nel mantovano. Anche mio papà ha seguito le sue orme, praticando la pastorizia fino a 20 anni, quando ha deciso di abbandonare questa attività per iniziare a lavorare come operaio in un’azienda municipalizzata del territorio».
«Dopo la morte del nonno, la famiglia ha preso la decisione di vendere la maggior parte del gregge, parliamo all’epoca di 170 capi. Abbiamo, però, tenuto ancora 15 esemplari, che sono diventati 20, poi 25, 30 e infine 35. A quel punto – sottolinea Giuliano – io e mio fratello ci siamo chiesti quale sarebbe stato il futuro di quello che, con il tempo, era diventato più di un semplice hobby e abbiamo iniziato a progettarlo».
Nel mentre, Giuliano si trasferisce a Genova per frequentare l’Università e laurearsi in Storia, ma dice: «Ho sempre avuto la volontà di tornare stabilmente a Carù. Per questo motivo ho colto al volo l’opportunità offerta dal bando ReStartApp 2015. Dal momento in cui ne sono venuto a conoscenza, il mio futuro si è rimesso in moto. Non ho timore di vivere e lavorare in un luogo isolato, ho una mentalità appenninica, sono consapevole che ci si debba spostare anche solo per accedere ai servizi essenziali. Per andare a bere una birra bisogna andare nel paese più vicino e per partecipare a un concerto, andare allo stadio o a teatro ci vogliono almeno un paio d’ore di auto. Alla maggior parte delle persone potrebbe sembrare faticoso, ma a me non pesa, l’ho sempre fatto».
Pastore transumante
Nell’Appennino Reggiano la transumanza è stata necessaria fin tanto che le greggi erano molte e diffuse, in un documento del 1881 custodito dalla Fondazione Slow Food per la biodiversità si dà notizia della presenza di ben 160 pastori per 60mila pecore. Attualmente ne sono rimaste solo 5mila distribuite in una trentina di greggi. C’è pascolo in abbondanza, come spiegano i fratelli Gabrini, che a differenza del nonno, non devono ricorrere alla transumanza per alimentare i loro 160 capi.