OFFICINA BIOMAT

Fabio e Giulia Villan, i titolari, sono partner di Officina Biomat. «Ci siamo incontrati arrivando da due direzioni apparentemente opposte, perché noi lavoriamo allo sviluppo di bioplastiche e loro producono plastica, ma non ci vediamo come concorrenti» spiega Michele. È così, probabilmente, perché Fabio Villan mostra un approccio «antico» alla plastica, che non considera un materiale usa e getta. Ascoltarlo parlare aiuta a capire, intanto, che non ha senso parlare di plastica, dovremmo invece far riferimento alle plastiche. Per esemplificare questo concetto prende un pezzo stampato e ce lo fa toccare: «È un braccio che serve a sostenere le ruote di una carrozzina per persone con disabilità, può sopportare un peso fino a 120 chilogrammi» racconta. Si tratta di nylon caricato con fibra di vetro. Chiarisce: «Anche questa è plastica, ma è un sostituto dell’alluminio. All’origine la plastica è stata studiata per produrre oggetti durevoli, leggeri ed economici, sostituendo materiali come ceramica o vetro e garantendo prezzi accessibili e beni riutilizzabili. Solo in un secondo momento ne abbiamo fatto il paradigma dell’usa e getta».

L’incontro tra PLA-STampi e Officina Biomat è partito dal canapulo, la parte legnosa del fusto della pianta di canapa. «Stiamo lavorando alla creazione di uno stampo per realizzare dei vasetti che sostituiscano quelli classici delle piantine, in modo da poter interrare direttamente nel senza obbligo di un travaso» spiega Andrea Buini. «I prototipi li abbiamo fatti, adesso stiamo valutando come “industrializzare” il processo» aggiunge.

Mentre continuano l’attività di ricerca, le due realtà si sono date anche un altro obiettivo: «Stiamo cercando di capire se è possibile eliminare il secchio blu della raccolta differenziata, perché non è una vera alternativa quella di spostare un rifiuto dal contenitore dedicato alla plastica a quello dell’umido» racconta Michele Galeri.

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