CARATTERI FUSI – L’A
Camminando per il centro storico della città, tra i cantieri aperti per la ricostruzione, Antonio sottolinea un aspetto per lui fondamentale, che in parte spiega anche il successo del suo lavoro: «Dopo il terremoto ci siamo sentiti tutti più aquilani di prima. L’identità di ogni persona è fatta anche di un luogo e se quel luogo viene meno per bilanciare ti aggrappi alla comunità e alle sue tradizioni».
Dopo la t-shirt, il secondo gadget aquilano a marchio L’A è stata la mappa della metropolitana dell’Aquila, «una metro che ovviamente non c’è». Antonio la apre davanti a noi: ci sono 99 fermate, perché si rifà alla storia della fondazione della città, ai 99 castelli che hanno dato vita a L’Aquila, e il nome di ogni fermata è tradotta in un inglese maccheronico, in alcuni casi con giochi di parole che fanno sorridere. Ci sono, ad esempio, «i live Happy», e sta per Campo Felice, stazione sciistica alle porte della città, e c’è nei pressi del Gran Sasso la fermata dedicata a Mary Star, a ricordare l’ex ministra della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini che in una dichiarazione pubblica aveva parlato di un tunnel per collegare il laboratorio sotto la montagna più alta dell’Appennino ai laboratori del CERN a Ginevra.
Storia della fondazione della città
L’Aquila è nata intorno alla metà del Duecento su iniziativa degli abitanti dei castelli, delle terre e delle ville del circondario: secondo la narrazione locale erano 99 e a ognuno era stato assegnato uno spazio dove costruire abitazioni, chiesa, piazza e fontana pubblica. La fontana più importante della città è, ancora oggi, quella detta “delle 99 cannelle”. La città nacque come mercato. «Qui in piazza del Duomo – ha raccontato Antonio Fruci attraversando il centro storico – non c’è nemmeno un palazzo nobiliare e fino all’aprile del 2009 ogni giorno questo spazio ha ospitato il mercato». Il centro storico dell’Aquila è stato cinto da mura: ancora negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, però, restavano aree non urbanizzate, perché alcuni dei 99 castelli si ritirarono dall’impresa di costruire il proprio spazio all’interno della nuova città.
Dopo la maglietta e la mappa della tube aquilana, che fa il verso a quella di Londra, Antonio è passato ad immaginare «che cosa avrebbero fatto i grandi artisti se fossero stati aquilani». Nel laboratorio di L’A trovano così spazio riproduzioni di quadri – come la notte stellata di Vincent Van Gogh ambientata a L’Aquila, con il Gran Sasso sullo sfondo e lo skyline della città – o la statua della «Fontana Luminosa», uno dei simboli della città, ridisegnata in tutti gli stili degli artisti del Novecento, da Botero a Wharol, da Frida Kalho a Duchamp a Keith Haring. «Ogni fontana può diventare anche un puzzle o una tela» aggiunge Antonio, mostrando un De Chirico.
Fontana luminosa
La Fontana Luminosa rappresenta due nudi femminili in bronzo che sorreggono la caratteristica conca abruzzese, utilizzata per recuperare l’acqua, posti su una vasca a pianta circolare rialzata da gradini rispetto al livello della strada. È un’opera realizzata da una scultore abruzzese durante il periodo fascista, che deve il suo nome ai giochi di luce notturni. Dalla fontana si vede il Gran Sasso d’Italia. La Fontana Luminosa è uno degli oggetti più trasformati da elleapostrofoa, che ne ha fatto un puzzle nella versione del pittore austriaco Gustav Klimt) e delle tele secondo lo stile dell’artista americano della pop art Keith Haring o in quello della pittura metafisica di Giorgio De Chirico.